Ipocondria

 "Ipocondria" è un termine che ha origini antiche: la prima descrizione risale ad Ippocrate (V sec. a.C.) che parla del “male degli ipocondri”, responsabile di un disordine delle funzioni digestive, ma anche di sofferenza psicologica, che cagiona melanconia con paura di morire. Il termine deriva dalla denominazione greca della zona superiore dell'addome - gli ipocondri "sotto le coste" - cioè la sede del fatidico "mal di pancia", laddove si fanno sentire i sentimenti e le passioni viscerali. Ad oggi il termine “ipocondria” sta comunemente ad indicare dalla più semplice paura di ammalarsi fino al terrore di aver contratto o sviluppato malattie gravissime, invalidanti o mortali.


A tutti può accadere in qualche occasione di preoccuparsi in maniera eccessiva di una sensazione insolita o di un dolore fisico inaspettato e di temere, di conseguenza, che esso possa essere segnale di una qualche grave malattia. Ciò che differenzia l'ipocondria dal normale timore di essere affetti da qualcosa di grave è il modo in cui la paura si manifesta: non sporadica bensì sistematica e prolungata, accompagnata da un'insistenza che diviene per lo più ossessionante.


Dal punto di vista medico e psicologico, l’ipocondria è una realtà clinica che, sebbene condivida molte delle caratteristiche dei disturbi d’ansia, viene considerata un disturbo somatoforme caratterizzato dalla “preoccupazione legata alla paura oppure alla convinzione di avere una malattia grave” che si basa sull’interpretazione soggettiva di segni somatici in qualità di sintomi di una grave malattia. La persona attribuisce questi sintomi o segni alla malattia sospettata ed è molto preoccupata per il loro significato e per la loro causa. Le preoccupazioni possono riguardare numerosi apparati, in momenti diversi o simultaneamente (spesso la malattia è percepita a carico dell’apparato cardiovascolare o gastrointestinale). In alternativa ci può essere preoccupazione per un organo specifico o per una singola malattia (per es. la paura di avere una malattia cardiaca, un tumore, l’AIDS, ecc).


Tale preoccupazione, inoltre, tende a persistere nonostante la valutazione e la rassicurazione medica appropriata. Perché si possa parlare di ipocondria, infatti, una valutazione medica completa deve avere escluso qualunque condizione medica generale che possa spiegare pienamente i suoi segni o sintomi fisici (per quanto possa talora essere presente una condizione medica generale concomitante). L’ipocondria può esordire ad ogni età, sebbene la più colpita sia l’età adulta (con un picco tra la quarta e la quinta decade). È rara nell’infanzia e più frequente nell’adolescenza e nella vecchiaia. Il decorso tende a cronicizzarsi, con andamento vario, e sembra guarire spontaneamente solo in un decimo delle persone.


L’ipocondria può costituire una entità nosologica a sé stante (ipocondria primaria), oppure può accompagnarsi ad altre realtà cliniche (più frequentemente i disturbi dell’umore e dell’ansia): in tal caso si parla di ipocondria secondaria. Generalmente è l’ipocondria secondaria che ha più probabilità di essere affrontata attraverso un percorso psicoterapia in quanto l’ipocondria primaria tende ad essere appannaggio quasi esclusivo degli ambulatori di medicina generale (o specialistica) e questo perché gli ipocondriaci si presentano con la ferma convinzione di avere una malattia organica escludendo fermamente la presenza di una qualsiasi forma di disagio psicologico.


Chi soffre di ipocondria primaria, infatti, ricerca la soluzione medica della malattia: la sua è una preoccupazione legata alla paura o alla convinzione di avere una malattia, non la preoccupazione per la malattia. Il non riuscire mai a trovare una risposta adeguata al malessere viene vissuto con l’idea di essere ammalato e con le conseguenze che questo comporta in termini di sofferenza e preclusione rispetto ad ogni attività che non sia improntata alla soluzione del problema salute. Avendo la quasi certezza di avere qualcosa di grave, l’ipocondriaco può arrivare a vedere nel medico il migliore amico, l’unico in grado di rassicurarlo perlomeno momentaneamente.


L’ansia (ed in un secondo momento anche la depressione e la rabbia) è la risposta emotiva associata alla percezione di minaccia che entra in campo quando vengono attivati gli schemi di pericolo relativi alla salute fisica, minaccia che diventa intollerabile con l’aumentare dell’incertezza, fino ad istituire un’equivalenza tra l’incertezza ed il rischio di malattia. Ad un livello più profondo, infatti, l’ipocondriaco non si sente capace di prevedere la malattia e di influire su di essa ed adotta quindi una euristica di prevenzione (“se non ti preoccupi per la tua salute, potresti ammalarti” o “appena c’è qualcosa che non va ci si deve recare a fare un controllo medico, altrimenti sarà troppo tardi”) in cui prevedere non solo implica la possibilità di prevenire, ma è di per sé una forma di prevenzione.

In genere l’ipocondriaco reagisce a questo stato ansiogeno di allarme attraverso delle strategie comportamentali che, sebbene abbiano il fine di lenire lo stato di malessere (e nell’immediato hanno successo), finiscono a lungo termine con il contribuire al mantenimento del problema nel suo complesso. Tali strategie comportamentali, schematicamente, includono:

- Il controllo 
- L’evitamento
- Comportamenti protettivi 
- La ricerca di rassicurazioni 


La strategia del controllo risponde alla speranza illusoria di poter arrivare ad una certezza assoluta che possa fornire la garanzia che non sia presente o che non si avveri l’evento temuto (la malattia). Proprio per questo, l’ipocondriaco diventa una persona molto attenta ad ogni piccolo cambiamento somatico e tiene costantemente sotto controllo il suo fisico, monitorandolo di continuo alla ricerca di eventuali segni di malattia: tipicamente si osserva un aumento di attenzione per i processi fisici endogeni (come il ritmo cardiaco, l’attività gastrointestinale, la deglutizione, la respirazione, ecc); sugli aspetti esteriori del corpo (l’asimmetria del corpo, l’irregolarità delle macchie della pelle, la perdita o la crescita irregolare dei capelli e la grandezza delle pupille); o anche sulle secrezioni del corpo (ad esempio il colore della saliva, delle feci e dell’urina), ecc.
Sebbene, perlomeno inizialmente, l’esito negativo di un controllo possa essere stato in grado di garantire una momentanea riduzione dell’ansia legata alla possibilità (che l’ipocondriaco trasforma in probabilità) di essere malato, successivamente, ogni minima alterazione che nota, può fungere da conferma all’idea di avere una grave malattia. D’altra parte, i ripetuti controlli del corpo, come la palpitazione dell’addome per valutarne il disagio, o l’autoesame per valutare la presenza di sangue nel retto o per individuare noduli al seno o ai testicoli, possono causare irritazioni e lesioni del tessuto. Inoltre, respirare profondamente per verificare il funzionamento dei polmoni produce eccessiva tensione e dolore al torace; effettuare forzate deglutizioni per verificare anomalie alla gola, rende più difficile la deglutizione stessa o, infine, controllare il polso mettendo in evidenza le normali fluttuazioni dei battiti, producono un disagio che, a sua volta, può essere interpretato come un’ulteriore prova della presenza di una patologia somatica.


I comportamenti di evitamento possono assumere forme diverse, tra cui eludere alcune attività come sforzi fisici, oppure situazioni che espongono l’individuo a rimuginare sul proprio stato di salute o all’ansia (ad esempio cercando di controllare i propri pensieri nel tentativo di non pensare ai problemi di salute). In realtà, l’evitamento di comportamenti considerati a rischio, come l’esercizio fisico, impedisce alla persona di vivere esperienze in grado di smentire le proprie idee relative lo stato di malattia, mentre il tentativo di sopprimere certi pensieri spesso porta ad un paradossale incremento degli stessi.
Nei casi più estremi, la paura di contrarre malattie può indurre a tenere un comportamento sospettoso e di chiusura nei confronti del mondo esterno a quello parentale, temendo i pericoli e le prove insite nel mondo del lavoro e delle relazioni sociali. In questo modo l’ossessione della malattia arriva ad incidere sulla vita sociale dell’ipocondriaco ed a influire anche sulla vita di chi gli sta vicino.


Nell’ansia connessa allo stato di salute, i diversi comportamenti protettivi vengono messi in atto per ridurre il rischio di malattie future. Ad esempio, se la malattia temuta fosse relativa al proprio sistema cardiovascolare, la persona può assumere quotidianamente un’aspirina o delle vitamine aggiuntive, in assenza di specifiche indicazioni mediche. Entro certi limiti questo non produce effetti significativi sul corpo ma, in ogni caso, contribuisce a mantenere vivo il disagio relativo al benessere fisico e l’idea di essere deboli e di necessitare di tutte le cure possibili per non ammalarsi.
Un altro tipo di precauzione può essere invece quella del riposo protratto per lungo tempo; questo può condurre a complicazioni tra cui la perdita di agilità e forza del corpo che, a loro volta, possono essere considerate prove di una grave patologia in atto. In certi casi, chi soffre di ipocondria, analogamente a chi soffre di un disturbo ossessivo compulsivo, può arrivare ad effettuare (con una certa frequenza) una serie di riti (come per esempio lavarsi le mani) atti a scongiurare e proteggersi dalle insidie provenienti dall'ambiente che lo circonda, ed a consentire, allo stesso tempo, di attenuare il disagio provato. Esempi di comportamenti protettivi potrebbero moltiplicarsi ma, quanto hanno in comune, è l’effetto di contribuire a mantenere focalizzata l’attenzione sul problema e quindi ad intensificare i sintomi.


La rassicurazione può essere ricercata in vari modi dall’ipocondriaco: spesso viengono chieste al coniuge o ad altri familiari informazioni sul sintomo, oppure un’accurata descrizione di quelli manifestati da altri. Inoltre, si può ricorrere a consultazioni mediche, richieste di ulteriori valutazioni e indagini strumentali, o allo studio di articoli e libri di medicina, nel tentativo di giungere autonomamente ad una diagnosi che escluda patologie. In tutti questi casi, ciò che inizialmente ha il potere di tranquillizzare momentaneamente l’ipocondriaco, ben presto diventa motivo aggiuntivo di angoscia. Nel caso delle visite mediche, ad esempio, l’esito favorevole delle indagini, inizialmente in grado di mitigare l’angoscia, diventa insufficiente dal momento che il paziente sente esserci qualcosa che non va e il medico non giunge ad una diagnosi che dia senso al suo malessere.
L’esito delle indagini viene reinterpretato dal paziente sulla base delle proprie convinzioni: “il medico non è riuscito a capire la vera natura del mio problema” (a diagnosticarlo correttamente) e quindi non è stato in grado di fornire la soluzione adeguata. La malattia, e la ricerca di una diagnosi, possono così diventare un tema fisso e dominante: l'ipocondriaco inizia ad abusare di continue visite ed indagini specialistiche e, nonostante gli esiti negativi, non c’è esame, ripetuto anche più volte, che basti a tranquillizzarsi. Un ipocondriaco preoccupato di avere una malattia cardiaca, ad esempio, non si sentirà rassicurato dalla ripetuta negatività dei reperti delle visite mediche, dell'ECG, o persino della angiografia cardiaca. Quanto maggiore è la gravità attribuita al rischio di malattia, quanto più l’ipocondriaco tenderà a svalutare l’importanza di spiegazioni alternative dei sintomi, mettendo a fuoco unicamente solo le informazioni a conferma dell’idea di malattia. Ancora una volta, la tentata soluzione, finisce con l’alimentare il problema.


A peggiorare la situazione di chi soffre di ipocondria è, in certi casi, il modo in cui queste persone finiscono per l’essere considerate: dei “malati immaginari”. L’ipocondriaco – in realtà – avverte tutta la sintomatologia di una determinata patologia: quello che per una persona normale può essere un banale dolore intercostale, per l’ipocondriaco diventa un dolore toracico insopportabile e terrorizzante. Ed è vero che lo sente così perché è talmente sensibilizzato all’ascolto del corpo, che la sua soglia del dolore si abbassa e quindi percepisce il dolore con maggiore intensità. È da considerare, per di più, anche il fatto che la costante paura di ammalarsi, associata al rimuginio sulla malattia, costituendo di per sé una forma di autosuggestione, in alcuni casi può portare a somatizzare i sintomi della malattia in questione innescando un circuito di comunicazione fra psiche e soma che predispone all’insorgenza di malattie.


Concludendo, in misura proporzionale alla gravità del disturbo, la vita dell’ipocondriaco può polarizzarsi sul dilemma salute/malattia in modo progressivamente sempre più pervasivo. La preoccupazione riguardante le malattie temute può diventare un elemento centrale dell’immagine di sé, un argomento abituale di conversazione e un modo di rispondere agli stress della vita. Ciò facilita, nei pazienti ipocondriaci, la percezione di essere delle persone fragili, vulnerabili, deboli, facili alle malattie. Questa immagine di sé può generalizzarsi fino a costituire uno dei perni intorno al quale si costruisce il senso della propria identità.
D’altra parte, il concetto di salute (come polarità opposta a quello di malattia) è idealizzato dall’ipocondriaco come uno stato definitivo di sanità totale, costruito in uno scenario vago e privo di caratteristiche concrete: è difficile dire se questa idea di salute sia l’origine o la conseguenza delle preoccupazioni relative lo stato di malattia, anche se probabilmente l’idea di “salute” e di “malattia” costituiscono, nel quadro di riferimento dell’ipocondria, le due facce della stessa medaglia.





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